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La lezione di Rosarno: negri bianchi prima, negri neri oggi
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La lezione di Rosarno: negri bianchi prima, negri neri oggi

12 Gennaio 2010

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.

Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali”.
Non stiamo parlando degli extracomunitari che a Rosarno, in Calabria, hanno scatenato la rivolta. Siamo parlando di cittadini meridionali emigrati in America, e le parole fanno parte di una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano, che ha come tema gli immigrati  italiani negli Stati Uniti. Il documento risale al mese di ottobre 1912.
Li chiamavano "i negri bianchi". Non è passato un secolo, da quando gli emigrati italiani negli Usa erano chiamati "i negri bianchi". Il ministro dell'Interno Maroni, quando si riferisce ai fatti di Rosarno e dice che in quella cittadina della Calabria «c'è una situazione difficile come in altre realtà, perché in tutti questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, un’immigrazione clandestina che ha alimentato da una parte la criminalità e dall’altra ha generato situazione di forte degrado», tenta di dare la colpa agli altri, non affronta il problema nella sua interezza e non mette in evidenza l'assenza dello Stato in quelle zone.
Le radici della protesta di Rosarno sono profonde. La scintilla è rappresentata dal ferimento, da parte di persone non identificate, di alcuni cittadini extracomunitari con un’arma ad aria compressa e pallini da caccia. In altre parole, qualcuno - probabilmente un cittadino calabrese - si è divertito a giocare al tiro al bersaglio, mettendo al centro del suo mirino il nero, il diverso. Ma le ragioni della protesta sono diverse.
Venti\venticinque euro al giorno per dodici ore di lavoro. E' questa la paga dei circa 1.500 extracomunitari, impiegati nella raccolta degli agrumi e degli ortaggi nella piana di Rosarno. "Se ci devono far vivere come animali in gabbia, tra i topi e la paura della gente che fuori di qui ci spara pure addosso, perché ci chiamano per raccogliere le arance? Si decidano: o serviamo, e allora vorremmo essere trattati un po' meglio e lavorare dignitosamente, oppure ce ne torniamo nei nostri paesi. Qui non ha più senso stare"; così dice oggi un portavoce dei cittadini stranieri.
Conosciamo i limiti di alcune politiche. Conosciamo i limiti dell'accoglienza ad ogni costo e conosciamo pure i problemi legati all'incontro con gli immigrati. Più in generale, non sappiamo se la strada migliore da seguire è quella di una società multietnica oppure quella dell'integrazione. 
Ma questo non ci esime dal dire che se a Rosarno (come altrove, in Italia) i cittadini stranieri sono sfruttati, lo sfruttatore è italiano; nella fattispecie è calabrese. Mafia, sfruttamento, xenofobia e razzismo, nella fattispecie, sono il prodotto della mentalità degli italiani. E i cittadini stranieri, in questo caso, sono le vittime.

La violenza non è da difendere. Però le ragioni che portano alla violenza devono essere accettate, esaminate e discusse. Non serve fare accuse generiche e poi girare lo sguardo dall'altra parte. La storia del genere umano è una storia di migrazioni. Da quando gli uomini primitivi hanno lasciato l'Africa, definita la culla dell'umanità, e si sono sparsi nelle altre terre conosciute, le migrazioni non sono mai cessate. E non cesseranno certo ora, checché ne dicano i vari Bossi e Maroni. Il fenomeno esiste; non si può nascondere; deve essere solo governato.