Stampa questa pagina
GIORNATA MONDIALE DELL’ALIMENTAZIONE
Vota questo articolo
(0 Voti)
  • dimensione font

GIORNATA MONDIALE DELL’ALIMENTAZIONE

16 Ottobre 2008

Intervento effettuato al Convegno “La sicurezza alimentare. La sfida del cambiamento climatico e la bioenergia” organizzato a Soveria Mannelli dall’Istituto Tecnico Industriale “Luigi Costanzo”

Nel mondo, ogni cinque secondi, un bambino al di sotto dei cinque anni di età muore di fame.

Sono più di 6 milioni di bambini all’anno; 17.280 al giorno. Complessivamente, circa 24.000 persone muoiono ogni giorno per fame o per cause ad essa correlate.

Sono 923 milioni gli uomini, le donne ed i bambini che attualmente soffrono la fame.
Aver fame significa non disporre della quantità di alimenti necessaria per soddisfare i bisogni nutrizionali. La fame non solo abbrevia la vita e le speranze dei singoli, ma pregiudica la pace perché rappresenta una minaccia alla stabilità politica ed economica delle nazioni.

Soffrire la fame o essere malnutriti significa perdere peso e compromettere lo sviluppo dei bambini; significa indebolire le difese immunitarie e morire per le infezioni.
Eppure con la sola quantità di cereali che USA e Russia destinano al bestiame si potrebbe nutrire un miliardo di persone. Poco meno della metà dei cereali prodotti sulla terra vengono utilizzati in Occidente per alimentare quel bestiame che viene poi consumato, sempre in Occidente, sotto forma di carne, uova e latte.

In Europa si spendono 11 miliardi di Euro all’anno per il gelato. Basterebbero 9 miliardi per garantire acqua potabile e impianti sanitari in tutto il mondo.
In Europa e negli USA si spendono 17 miliardi di Euro per gli animali domestici. Basterebbero 20 miliardi di Euro per garantire condizioni di salute e alimentazione in tutto il mondo.

Sul Pianeta c’è cibo sufficiente per alimentare l’intera popolazione mondiale. Nonostante ciò, la fame affligge una persona su sette. Le risorse agricole di alcuni Paesi sono utilizzate per soddisfare i bisogni dei paesi più ricchi.
In Inghilterra ogni anno si gettano via 20 milioni di tonnellate di alimenti. Basterebbe la metà per soddisfare il fabbisogno dell’Africa.

Da tutto questo si capisce che il problema non è la produzione di cibo, ma la sua distribuzione.

La fame nel mondo può essere vinta. Serve la volontà di distribuire il cibo in modo equo e giusto. “Ridurre il numero delle persone che soffrono la fame di 500 milioni nei 7 anni che ci rimangono da qui al 2015 richiederà un impegno enorme a livello globale; richiede azioni concrete”, dicono alla FAO. Ma ciò è possibile.

Un quinto della popolazione mondiale vive con meno di un euro al giorno, e per rompere il circolo vizioso fame-povertà occorre intervenire con urgenza su due fronti:

  1. far sì che il cibo sia disponibile per tutti;
  2. favorire  lo sviluppo agricolo e rurale delle popolazioni che soffrono la fame, per aumentare la produzione e migliorare le loro condizioni di vita.

L’aumento dei prezzi delle derrate alimentari (riso, mais, grano), del carburante e dei fertilizzanti ha esasperato il problema: la fame è aumentata mentre il mondo è diventato più ricco ed ha prodotto più cibo.

Come abbiamo detto, sono 923 milioni le persone che nel mondo soffrono la fame. Nel 2006 erano 854 milioni. Quest’anno forse si aggiungono altri 100 milioni di persone. Ed i Paesi ricchi non trovano di meglio che utilizzare mais, riso e soia per la produzione di biomasse da cui ottenere, poi, biocarburante.
Il nostro modello di civiltà non si tocca. Il nostro sviluppo non si tocca. Ed i cereali servono per ridurre la nostra dipendenza dal petrolio.

Eppure la fame è una delle cause della povertà nel mondo, non è solo una sua conseguenza.

Fame e malnutrizione hanno un forte impatto negativo sul rendimento al lavoro, sulla salute, sulla scolarizzazione. Tutti fattori che alla fine determinano una più bassa crescita economica generale. Tutto questo conduce ad un circolo vizioso, con la fame che causa la povertà, e con la povertà estrema che a sua volta genera la fame.
Non mi soffermo sulla cause che determinano la fame nel mondo, né sulle politiche sbagliate che hanno contribuito ad appesantire la crisi alimentare che colpisce molte regioni del Pianeta, anche perché sulla materia c’è una vasta letteratura.

Voglio però dire che il problema della “fame” non è un problema degli “altri”.
E’ anche nostro. Per due ragioni:

  1. un rapporto elaborato dalla Caritas italiana ci informa che in Italia l’emergenza sociale riguarda 15 milioni di persone, e di queste, 7,5 milioni sono sotto la soglia della povertà.
  2. sono i comportamenti degli uomini che fanno la cultura, così come sono i comportamenti dei cittadini che fanno le istituzioni.

Il primo punto ci conferma che il problema della fame, inteso come “non disporre della quantità sufficiente di alimenti per soddisfare i bisogni nutrizionali”, è un problema che gli italiani hanno già in casa.

Il secondo punto è una mia convinzione, che non mi stanco di ripetere ogni volta che mi è data l’occasione di parlare.

Vedete, noi oggi assistiamo ad una crisi dei mercati finanziari e sentiamo parlare sempre più di “economia reale”. Tronchetti Provera ha detto: “Abbiamo vissuto un’economia di carte per 10 anni”. Economia reale vuol dire tornare a parlare di fabbriche, di imprese che producono, di costi, di ricavi, di reddito, di salari, stipendi e pensioni. Vuol dire, cioè, parlare di cose concrete.
Si avverte, dunque, l’esigenza di scendere con i piedi per terra e di abbandonare quei voli pindarici che ci hanno dato l’illusione di poter toccare il cielo con un dito.
E cosa c’è di più concreto dell’uomo, su questa Terra?

L’uomo, quindi, torna al centro dei nostri ragionamenti. Torna ad essere il punto di riferimento di ogni sviluppo.
Non c’è capitalismo che tenga. Non c’è comunismo che tenga. Non c’è finanza creativa, non ci sono mercati che tengano.

Giovanni Paolo II ci ha insegnato che è l’uomo il primo soggetto di ogni cambiamento sociale e storico.
Quindi l’uomo, la persona, il cittadino è colui che può dare un contributo alla soluzione del problema. Prima prendendo coscienza che il problema esiste, e poi modificando i comportamenti. Perché dai comportamenti nasce la cultura. Ed una maggiore cultura della solidarietà, in questo momento, è necessaria. Solidarietà che non deve essere intesa come “inviamo cibo alle popolazioni che soffrono”. Questo non basta. Solidarietà intesa come disponibilità ad ascoltare gli “altri”, come volontà di aiutare gli “altri”, come capacità di comprendere i loro problemi.

Le persone che muoiono o che soffrono la fame nel mondo sono uomini come noi. E se noi riusciremo a modificare i nostri comportamenti, se noi saremo cittadini consapevoli, avremo migliorato il livello delle nostre istituzioni; che poi sono i soggetti chiamati a prendere le decisioni per alleviare anche il problema della fame nel mondo.