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I Calabresi non vogliono cambiare

07 Ottobre 2006

I calabresi non vogliono cambiare. Lo dico con amarezza, ma con profonda convinzione. Parlo, naturalmente, della maggioranza dei cittadini, di una grande maggioranza. Ma sono certo: i calabresi non vogliono cambiare perché stanno bene così come sono, troppo abituati ad un modo di vivere che si è formato attraverso i secoli più per volontà delle persone che per contingenze storiche. Le occasioni di cambiamento sono state tante, forse anche troppe, ma i calabresi le hanno sempre rifiutate.

 

Sono giunto a questa conclusione dopo molti anni, e sono state le esperienze della vita a farmi capire che in questa regione non c'è volontà di cambiamento.

Ho studiato in Calabria, a Nicastro (così era chiamato allora uno dei tre centri che poi hanno formato la nuova città di Lamezia Terme), e sono emigrato con il diploma in tasca. Ho lavorato a Milano e a Roma, dove sono stato dirigente d'azienda in una società metalmeccanica; anni dopo sono tornato in Calabria, dove ho concluso l'attività lavorativa come quadro direttivo di una banca. Sono stato eletto due volte consigliere comunale nel mio paese, ho fatto il coordinatore regionale di un movimento politico nazionale e mi sono occupato di attività sindacale. Ho contribuito a fondare un'associazione culturale che vive da sedici anni ed ho collaborato con diversi quotidiani e giornali.

Grazie a queste esperienze sono entrato in contatto con uomini e popoli diversi ed ho conosciuto culture, mentalità, modi di pensare, abitudini e comportamenti diversificati. Per questo ora io posso dire con convinzione: i calabresi non vogliono cambiare.

I calabresi sono diversi rispetto agli altri popoli della nazione. E vogliono rimanere diversi, con il loro individualismo esasperato, con una forte emigrazione intellettuale, con partiti che cambiano ma i politici sono sempre gli stessi, con diritti che sono ritenuti ancora favori, con prepotenti che prevalgono su deboli e onesti, con intrallazzi e truffe piccole e grandi, con una burocrazia pubblica opprimente, con telegiornali regionali e quotidiani locali che evidenziano poche inchieste e tante vacuità, con intellettuali e giornalisti che si celebrano fra di loro, con consorterie più o meno segrete e deviate, con la mafia e le tante antimafie, con padroni al posto di imprenditori, con la sanità in mano alla burocrazia e ai detentori di privilegi, con una classe insegnante impreparata e inadeguata, con il familismo che prevale sulla comunità sociale, con il comparaggio…

Per carità, non tutto è così… ci sono cittadini che vogliono cambiare, ci sono politici seri, c'è gente consapevole dei propri diritti, c'è un pezzo di società civile che reagisce, qualche mezzo di comunicazione si salva e qualche giornalista ha la schiena diritta, ci sono persone oneste e imprenditori illuminati, ci sono punti di eccellenza nella sanità e nella scuola, c'è un senso civico che è rivolto verso il bene comune… ma parliamo di minoranze, di eccezioni che confermano la regola. I ragazzi di Locri fanno bene ad indignarsi, ma forse ha ragione l'ex ministro Pisanu quando dice che loro “rappresentano una piccola generosa minoranza della società calabrese”.

Tirate le somme, ha ragione Giuseppe Aprile quando dice che gli onesti restano fuori gioco: “Abbiamo un consiglio regionale, ma anche altre istituzioni, inquinato da presenze per lo meno sospette nella maggior parte dei casi. Sicuramente inquinate in alcuni ben conosciuti. Ma chi dovrebbe provvedere tace, il cittadino abbassa la testa e finge di non sapere, le autorità si rimbalzano le responsabilità…”. E poi aggiunge: “Oggi è la politica che si offre alla mafia, non il contrario. E gli onesti restano fuori gioco”. E Marco Minniti, uomo di punta della politica calabrese e vice ministro dell'Interno, conferma: “Il rapporto tra mafia e politica è un punto cruciale. Bisogna fare indagini serie su questo rapporto…”.

La Calabria è la terra dove i dipendenti di alcune aziende sono costretti a viaggiare e lavorare sotto scorta armata, dove la mafia è diventata impresa con interessi negli appalti e nell'imprenditoria, dove tutto è facile per chi ha amici e dove un magistrato come Nicola Gratteri è costretto ad anticipare 3.500 euro per rifornire di benzina la macchina di servizio, “e più di questo non posso fare” conclude sconsolato.

La Calabria è la terra in cui la maggioranza di centrosinistra approva un emendamento che limita la pubblicazione degli atti nel Bollettino ufficiale della regione Calabria, ed un cartello di associazioni paragona la scelta della giunta Loiero a quelle “di qualche dittatura sudamericana”.

Silvio Gambino, preside della facoltà di Scienze Politiche all'università della Calabria, si domanda: ”Quale credibilità potrà mai rivendicare di fronte ai propri elettori una maggioranza consiliare di centro sinistra che ha inferto un colpo così letale ad un principio che da più di un decennio costituisce concreta attuazione della Costituzione?”.

Mario Congiusta, padre di un ragazzo assassinato circa un anno e mezzo addietro da mani ancora ignote, afferma: “Siamo nauseati da una Commissione regionale antimafia inutile, inefficiente e che dal suo insediamento ha ‘lavorato' nove ore senza nulla produrre…”.

L'associazione “Bella ciao”, dopo aver ricordato l'omicidio Fortugno, Parentopoli, i primi avvisi di garanzia a consiglieri regionali, fino agli arresti eccellenti ed alle inchieste sul vicepresidente della giunta regionale, parla di una ennesima speranza andata perduta e scrive che i cittadini vivono in gravi situazioni di arretratezza economica e sociale e che le segreterie partitiche calabresi continuano a fare il bello e il cattivo tempo, “amministrando” consensi, sistemando parenti, assecondando privatistiche richieste.

Aldo Pecora scrive: “ La Calabria non può più aspettare. I calabresi onesti non vogliono più aspettare. Ventidue consiglieri regionali indagati, a destra e a sinistra… Passando per l'approvazione tacita delle prime vergognose leggi anti-trasparenza della storia della nostra regione. E, dulcis in fundo, tenendo presente che in questo momento siede in Consiglio regionale chi fino a qualche tempo fa aveva nella propria segreteria anche uno dei presunti mandanti dell'omicidio Fortugno, già arrestato per traffico d'armi. In una regione ‘normale' una situazione del genere non esisterebbe, perché serietà imporrebbe a tutta la classe politica un grande passo indietro ed un momento di sincera e pubblica riflessione. In Calabria evidentemente no”.

Nicola Caruso, dell'associazione Sinistra Urbana, dice che i calabresi, soprattutto i giovani, hanno una visione del futuro senza speranza, perché non ravvisano nel ceto politico dirigente le risorse necessarie a superare la crisi attuale.

E allora che fare? In questa regione non c'è proprio posto per la speranza?

Due anni fa Pippo Callipo, allora presidente regionale di Confindustria, ha detto: “Penso che la Calabria venga tenuta così perché fa comodo a pochi e questi pochi riescono a fare le loro ‘faccende'. Ma a soffrire è il piccolo che non ha la capacità di reagire. Quelli che potrebbero incidere su un cambiamento di rotta, parlo delle forze civili, associazioni di categoria, forse riescono a coltivarsi il proprio orticello lasciando gli altri da soli a tirare la carretta, ma questo sistema non può durare per sempre”.

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