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Referendum e governo Prodi

25 Giugno 2006

Il governo Prodi ha ottenuto la fiducia nei due rami del Parlamento e da poco più di un mese è nel pieno delle sue funzioni. Le elezioni amministrative del 28 e 29 maggio, invece di dare una spallata al nuovo premier, si sono concluse con una sostanziale vittoria dell'Unione, che ha conquistato 18 comuni capoluogo contro i 6 della Casa delle Libertà e 5 province contro le 3 della Cdl. La compagine governativa, però, ha mostrato diversi elementi di debolezza e ha fatto sorgere una domanda: Quanto resterà in carica questo governo?

 

Per trovare una risposta cerchiamo, dunque, di capire quali sono stati gli elementi di debolezza.

Prima nella fase di costituzione.

Poche donne; dare la colpa ai partiti – come ha fatto Prodi – è solo una scusa e suona come uno scaricamento di responsabilità. Assenza dei Repubblicani europei; ha ragione Luciana Sbarbati quando ricorda di essere stata tra i soci fondatori dell'Ulivo, nella famosa Convention di Roma; e ha ragione quando parla di un patto di potere tra DS e Margherita, ricordando che “Rutelli lo aveva detto al seminario di San Martino in Campo: non vi vogliamo nell'Ulivo. E' stato di parola”.

Poi nella fase di ripartizione delle deleghe.

Come ha ricordato a suo tempo Francesco Giavazzi, il ministero dell'Economia perde il dipartimento relativo al Bilancio, che si occupa delle politiche per il Mezzogiorno, e l'unificazione Tesoro-Bilancio “era stato un passo importante per superare le tensioni che in passato sorgevano fra il ministro del Tesoro, che deve salvare i conti, e quello per il Mezzogiorno, che preme per spendere”. Il CIPE viene trasferito dal ministero dell'Economia alla presidenza del Consiglio e molti dicasteri sono spacchettati e poi ricomposti in numerose deleghe. Ed è proprio sullo spacchettamento delle deleghe dei ministeri che il governo, dopo appena 29 giorni di vita, ha annunciato di voler ricorrere al suo primo voto di fiducia al Senato.

Primo record negativo.

Per dare seguito alle richieste dei partiti che hanno condizionato la formazione del governo è stato necessario creare “troni, sedie e strapuntini” che hanno portato a centodue il numero di poltrone assegnate (tra ministri, sottosegretari e vice ministri): uno in più del settimo governo Andreotti, conquistando così il record di governo più numeroso della storia della Repubblica. E pensare che era stato proprio Prodi, nel 1996, a scrivere nel programma dell'Ulivo: “Ridurre i ministeri e i ministri”.

Poi ancora nel passaggio alle Camere.

Per la fiducia al Senato il quorum era di 161 ed i “si” sono stati 165; sette i voti a favore espressi da altrettanti senatori a vita. “Il comportamento dei senatori a vita è stato immorale”, ha tuonato Berlusconi; ma quello che dice l'ex premier ha poca importanza, anche perché nel 1994 il suo primo governo passò con uno scarto di sei voti e a favore votarono i senatori a vita Leone, Cossiga e Agnelli. Quello che conta, invece, è l'esiguità della maggioranza al Senato, con il governo esposto ai capricci dei singoli senatori e dei piccoli gruppi politici. E la riprova è avvenuta poche settimane dopo il voto di fiducia, quando i senatori a vita sono stati nuovamente determinanti per l'elezione dei presidenti di commissione. Non a caso il giorno della fiducia il senatore Andreotti ha ricordato: “…Una cosa dev'essere chiara al neopremier: quando la sua maggioranza gli chiederà un certo tipo di provvedimenti, e lui sa bene quali, ecco… noi senatori a vita, o almeno la maggior parte di noi, non sarà mai d'accordo…”.

Per l'alleanza elettorale troppo lunga.

Perché è difficile, in queste condizioni, mantenere una compagine governativa unita su un programma e sulle cose da fare. Già nei primi giorni di navigazione siamo stati colpiti da una serie di interviste, proclami ed esternazioni di ministri e sottosegretari che si inseguono, si contraddicono, si correggono, si spiegano. La materia del contendere è ampia: imposte sulle rendite e tasse di successione, flessibilità, pensioni, legalizzazione clandestini, missioni italiane all'estero, ponte sullo Stretto, riconoscimento di diritti alle coppie di fatto, significato della parata militare del 2 giugno, scuole pubbliche e scuole private, bioetica, amnistia, centri temporanei di assistenza… Il lavoro, l'occupazione, la sanità e le pensioni continuano ad essere le tematiche che più preoccupano gli italiani. Nel Paese le aspettative sono grandi; e per meglio regolare la comunicazione verso l'esterno Prodi ha pensato di convocare tutti i ministri per un seminario di due giorni, allo scopo di elaborare una strategia comune e stabilire vere e proprie regole di comportamento. Intanto, però, qualcuno già parla di verifica e di vertici della maggioranza, e Mastella avverte: “Se non c'è collegialità, questo governo non arriva neanche a mangiare il panettone”.

E, infine, per le cose da fare.

Perché le sfide da affrontare sono superiori a quelle immaginate in campagna elettorale, con in primo piano il risanamento dei conti e il rilancio dell'economia. I richiami dell'Ocse, che per l'Italia ipotizza un aumento del debito pubblico e la riduzione del prodotto interno lordo, devono essere presi sul serio. La politica di sinistra sembra essersi ridotta alla gestione del quotidiano e si mostra incapace di farsi carico di valori fondamentali; essa è priva di slancio, non suscita entusiasmo e non alimenta la speranza; sembra non riconoscere le esigenze della società italiana, e continua a mantenere un atteggiamento elitario che la allontana dall'ascolto. Resta da capire, dice Lucia Annnunziata, perché vari ministri, uomini e donne di sinistra, non mostrino sensibilità alle domande sociali più vaste.

Cosa c'entra, in tutto questo, il referendum costituzionale che prende l'avvio oggi?

Dopo il fallimento dell'idea di utilizzare i venti milioni di elettori chiamati alle urne per le amministrative del maggio scorso per dare un “avviso di sfratto” a Prodi, sappiamo che la Casa delle Libertà ha assegnato la rivincita all'esito del referendum, nel corso del quale i cittadini decideranno se confermare la riforma federalista votata dal solo centrodestra durante il governo Berlusconi: un provvedimento che – è bene ricordare – ha modificato una riforma federalista a suo tempo votata dalla sola maggioranza di centrosinistra.

Molti, nella Casa delle Libertà, negano di voler utilizzare il referendum costituzionale come una clava contro il governo in carica; ma da giovedì 8 giugno abbiamo visto in edicola un libro curato da Renato Brunetta (FI, consigliere economico di Berlusconi) e da Vittorio Feltri (direttore di Libero ) dal titolo significativo: Referendum sulla Riforma costituzionale - Un bel si per mandare a casa Prodi . E appena ieri il Corriere della sera titolava: Referendum, sfida Prodi-Berlusconi.

Se le urne decideranno la conferma, Prodi non avrà molti margini di manovra ed il suo governo sembra destinato a cadere prima della scadenza naturale. Se questo succederà, allora aveva ragione Giulio Andreotti, il quale, prima di votare “si” alla fiducia in Senato, aveva dichiarato: “Io credo che sarebbe stato meglio un governo di transizione…”.

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