Terra del mio paese
che mi desti il natal
e ti prendesti pure i cari miei,
anch'io vorrei
ridare a te,
quel dì funesto,
il corpo mio spoglio,
e consumarmi in te,
qual pasto ai vermi.
Terra del mio paese
che mi desti il natal
e ti prendesti pure i cari miei,
anch'io vorrei
ridare a te,
quel dì funesto,
il corpo mio spoglio,
e consumarmi in te,
qual pasto ai vermi.
01/07/2004
Leggendo le liriche di Angelo non possiamo fare a meno di richiamare alla memoria Quinto Orazio Flacco, a cui per certi aspetti si avvicina; prima di tutto nell'esaltazione dell'inebriante bevanda dono di Dioniso e nell'attribuzione ad essa di doti terapeutiche: “Nunc vino pellite curas” invita Orazio; “… secuta ogne affannu … Sculatillu ‘nu parmu ‘e vinu/ è medicina ppe ru stentinu” dice Angelo. Ma altri elementi li accomunano: la capacità di raffigurare i personaggi popolari e gli amici con garbato e fine umorismo e di rappresentare scene di vita vissuta, siano esse malinconiche, siano esse divertenti, sempre con vivacità e sottile ironia.Ma Orlando non è solo questo. Fortemente presente è l’amore e la nostalgia per il suo paese, ma soprattutto per il tempo della giovinezza e della vita familiare qui vissute. E’ tanto atteso il momento del ritorno, ma quasi è delusione per ciò che trova, anzi, per ciò che non trova perché non c’è più o perché è cambiato: la sua casa c’è ancora, ma non più i suoi genitori e non più il fuoco scoppiettante nel camino (simbolo di vita) e, dice Angelo ”… l’allegrizza mia diventa amara.”
Prof.ssa Mery Torchia