Mar 29, 2024, 11:18
La foto racconta il passaggio nel bosco di Sant’Antonio del pastore Aligi e della Figlia di Iorio come raccontato nella tragedia di d’Annunzio: la famosa “fuitina” dalla quale comincia il peregrinare della coppia.
La foto racconta il passaggio nel bosco di Sant’Antonio del pastore Aligi e della Figlia di Iorio come raccontato nella tragedia di d’Annunzio: la famosa “fuitina” dalla quale comincia il peregrinare della coppia.
Alessio Consorte
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'A fuitina

01 Gennaio 2004

"Turi, curri, curri, bedda matre santissima!"

Queste sono state le prime parole di Alfio, quando, alzatosi di buon mattino, non vide la figlia Rosetta dormire nel suo letto, nella camera, accanto alla sua. 
Le immediate ricerche ed il lungo vociare fino all'inverosimile, non diedero nessun esito. 
Il pecoraio Alfio abitava in una casupola, in un piccolo paese della provincia di Siracusa ed ogni giorno, alle prime luci dell'alba, si recava nel suo ovile, poco distante, per governare le pecore, portandole a pascolare. 
Sua moglie era morta cinque anni addietro, a seguito di una lunga e penosa malattia. 


Il figlio "Turiddu" aveva 19 anni ed aveva interrotto gli studi alle elementari in quanto con dovuto rispetto e severa ubbidienza quotidianamente doveva aiutare il padre nel suo lavoro impegnativo e faticoso. Il gregge ogni anno aumentava di numero e la sua manodopera era essenziale. 
Rosetta aveva 16 anni ed era uno stupendo fiore selvaggio : alta, occhi castani, capelli neri e lunghi, con un corpo di una bellezza tipica mediterranea; attirava gli sguardi dei giovanotti del paese e non soltanto dei giovanotti! 
Da quando era morta la madre, era lei che doveva occuparsi delle faccende domestiche. Aveva frequentato le scuole elementari con buon profitto e nel paese in cui viveva non esistevano le medie. 
Per continuare gli studi, quindi, avrebbe dovuto recarsi in un altro paese, prendere la corriera, con una spesa non indifferente, non sostenibile dalla famiglia! 
Inoltre, per la mentalità del paese, conoscere altre persone, facendo anche nuove amicizie, era una cosa impensabile. Il padre era terribilmente geloso e lei ne era, volente o nolente, succube, costretta a vivere in un ambiente ostile, in un contesto di vita pieno di sacrifici e di disagi, e quando usciva per recarsi in chiesa, durante le festività più solenni del paese, doveva essere accompagnata da una zia nubile ed anziana. 
Eravamo verso la fine del 1960. Il paese in cui vivevano era povero ed il settore agricolo era l'unica attività economica; la manodopera era avventizia e quasi tutte le persone in età lavorativa emigravano verso i paesi più industrializzati del nord. 
Era, quindi, più che naturale che la bellissima Rosetta, anche a soltanto sedici anni, pensasse ad evadere da quell'ambiente di rinunce e, giorno dopo giorno, ne valutava le possibilità: cosa fare, a quale sistema ricorrere? La soluzione la balenò all'improvviso, mentre si stava asciugando, davanti ad uno specchio, dopo aver fatto il bagno. 
Non erano ancora le sei del mattino quando Alfio bussò insistentemente alla porta della caserma dei Carabinieri. Poiché il campanello non suonava perché, inspiegabilmente, mancava l'energia elettrica, il piantone impiegò un po' di tempo ad aprire, e semiaddormentato, e si trovò di fronte Alfio, che, agitato, confuso e quasi balbettante denunciò la scomparsa della propria figlia Rosetta, non tralasciando anche l'ipotesi di un probabile rapimento. 
Il Comandante, pur non tralasciando, per il momento nessuna ipotesi, escluse a priori quella del rapimento, in considerazione delle modeste condizioni economiche della famiglia. 
Si attuarono subito le prime ricerche, che durarono fino alla sera, anche con l'ausilio del Reparto cinofili, ma l'esito fu negativo. 
Al Comandante, allora, venne l'idea di interrogare diverse persone del paese, la cosiddetta "Vox populi, Vox Dei", alle quali chiese il loro parere su questa misteriosa scomparsa. 
Venne alla luce un particolare interessante. Nella nottata precedente la scomparsa si era verificato un ingegnoso espediente per permettere ai fidanzati del paese di effettuare la cosiddetta fuitina siciliana. Ed anche quella notte, con la complicità dell'elettricista de paese, era mancata l'energia elettrica per alcune ore. 
Alfio, dopo essere stato convinto dal Maresciallo ad accettare la tesi della fuitina , diventava sempre più nervoso e teso, somigliava ad un leone che, ferito, ruggiva sempre di meno. Ma il cuore prevale quasi sempre sulla ragione. E soltanto dopo una settimana Rosetta tornò, non solo con il fidanzato, ma con un figlio in arrivo!
Però ci volle l'autorità ed il saper fare del locale Comandante della stazione dei Carabinieri a fare accettare ad Alfio la nuova situazione, compreso il matrimonio riparatore. 
Ma solamente dopo la nascita del primo figlio, con un pò di buon senso e con una dose di buona volontà, si raggiunse una completa e totale normalità: d'altronde le offese sono state grandi!

Angelo Orlando

Sammanghese di origine, vive da anni ad Empoli, ma ritorna con piacere al nostro paese ogni volta che ne ha occasione. Autore versatile, passa con abilità dalla prosa alla poesia.

01/07/2004

Leggendo le liriche di Angelo non possiamo fare a meno di richiamare alla memoria Quinto Orazio Flacco, a cui per certi aspetti si avvicina; prima di tutto nell'esaltazione dell'inebriante bevanda dono di Dioniso e nell'attribuzione ad essa di doti terapeutiche: “Nunc vino pellite curas” invita Orazio; “… secuta ogne affannu … Sculatillu ‘nu parmu ‘e vinu/ è medicina ppe ru stentinu” dice Angelo. Ma altri elementi li accomunano: la capacità di raffigurare i personaggi popolari e gli amici con garbato e fine umorismo e di rappresentare scene di vita vissuta, siano esse malinconiche, siano esse divertenti, sempre con vivacità e sottile ironia.Ma Orlando non è solo questo. Fortemente presente è l’amore e la nostalgia per il suo paese, ma soprattutto per il tempo della giovinezza e della vita familiare qui vissute. E’ tanto atteso il momento del ritorno, ma quasi è delusione per ciò che trova, anzi, per ciò che non trova perché non c’è più o perché è cambiato: la sua casa c’è ancora, ma non più i suoi genitori e non più il fuoco scoppiettante nel camino (simbolo di vita) e, dice Angelo ”… l’allegrizza mia diventa amara.”

Prof.ssa Mery Torchia

 

 

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