Il mio sessantotto
A. OrlandoIl 1968 avevo vent’anni.
Da qualche mese ero stato costretto ad abbandonare l’università perché la situazione finanziaria della mia famiglia non mi consentiva di proseguire gli studi a Messina. In Calabria l’Università era stata appena istituita, ma tutto era ancora in alto mare.
Per sollecitare la realizzazione dell’università, si stava formando in Calabria un movimento che portò in piazza studenti, lavoratori, cittadini di ogni ceto sociale. Nei mesi successivi furono proclamati scioperi e si verificarono blocchi stradali e ferroviari. A Sant’Eufemia intervennero i reparti della Celere e ci furono molti feriti. Ricordo ancora i camion che scaricano terra sulle strade, le persone che occupano i binari della ferrovia, i furgoni che riforniscono di viveri i dimostranti ed i poliziotti che suonano la carica.
La lotta per l’Università in Calabria è stata il mio battesimo del fuoco ed è iniziato allora il mio impegno politico e sociale; nel 1969, infatti, sono stato chiamato a far parte di un Comitato Civico di agitazione permanente per l’Università a Lamezia Terme ed ho partecipato ad incontri, dibattiti e manifestazioni di protesta. Poi, negli anni, l’impegno è proseguito sotto molteplici forme: dirigente sindacale a Roma, consigliere comunale a San Mango, coordinatore regionale di un movimento politico nazionale in Calabria, animatore di diverse associazioni culturali.
E’ stato questo il mio modo di vivere il Sessantotto.
A San Mango (dove ancora abitavo: l’emigrazione, il lavoro a Milano e Roma vennero dopo) giungeva l’eco degli avvenimenti lontani: l’insurrezione degli studenti americani e l’occupazione delle fabbriche in Francia, l’assassinio di Martin L. King e di Robert Kennedy, l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, gli scontri degli studenti con la polizia di Berlino, l’eccidio di oltre un milione di uomini in Biafra, il massacro degli studenti in Messico, i disordini universitari in Italia.
Era l’anno in cui Dalida vinceva a Partitissima, il terremoto devastava la Sicilia con più di 400 morti, Sergio Endrigo vinceva a Sanremo, Giovanni Spadolini assumeva la direzione del Corriere della Sera, il Milan conquistava lo scudetto, Gimondi diventava campione d’Italia, Padre Pio moriva a S. Giovanni Rotondo, l’alluvione in Piemonte provocava 40 morti e danni ingenti, due contadini morivano ad Avola in uno scontro con le forze dell’ordine, Benvenuti conservava il titolo mondiale dei pesi medi.
Avevo vent’anni e, come molti giovani, avvertivo una grande voglia di vivere ed un forte desiderio di giustizia e di uguaglianza; sensazioni e stati d’animo che la quotidianità mi sbatteva in faccia con durezza.
Ma, come altri giovani, mi sentivo incapace di reagire, prigioniero del tempo e dello spazio, in un piccolo paese della Calabria. La morte di Luigi Tenco mi aveva profondamente turbato; ricordavo le sue canzoni e mi rendevo conto che esse esprimevano così bene l’insoddisfazione dei giovani, fino a diventare un’accusa rivolta alla società.
Per questo le grandi manifestazioni studentesche, da Varsavia a Madrid, da Milano a Praga, da Città del Messico a Parigi, mi apparivano come una liberazione. Mi convincevo che la lotta sulle piazze era necessaria perché solo così gli altri potevano capire quanto fosse urgente il rinnovamento della società. Il mio amico Gino Marsico, allora studente di Medicina a Roma, mi spedisce una lettera nella quale descrive il caos che esiste all’interno delle Facoltà ma conclude: “In effetti quasi tutti, siano essi cinesi, anarchici, fascisti, moderati, vogliono una giusta riforma”.
E’ stato questo il mio modo di vivere il Sessantotto, e dopo quarant’anni non posso accettare l’idea che quegli anni siano stati inutili, o addirittura dannosi.
Due anni fa, quando la Francia era sconvolta dalla rivolta giovanile, una ragazza della Sorbona ha definito il Sessantotto il tempo dei sogni. Si, è vero. C’era una società divisa rigidamente in classi, con contadini ed operai da una parte, borghesi e aristocratici dall’altra. Ma c’erano pure i sogni.
Tempo di sogni… dove convivono, però, torti e ragioni e dove l’intreccio di fattori diversi è stato unico, forse irripetibile. Ma anche movimento di opposizione e di contestazione globale che è riuscito a dare un contributo importante alle battaglie civili degli anni Settanta: una vera rivoluzione culturale, che ha inciso sui comportamenti sociali e sul costume.
“Si consumò in quel tempo una straordinaria e forse irripetibile rivoluzione che devastò tradizioni e comportamenti, orientamenti ideologici, modi di parlare, rapporti gerarchici e di potere”, scrive Paolo Guzzanti prima di diventare senatore di Forza Italia. “Nessuno, dal Sessantotto in poi, può continuare ad esercitare l’autorità con gli antichi strumenti: è cambiata radicalmente (ed in meglio) la condizione degli studenti, delle donne, degli operai, delle minoranze politiche e sociali”, aggiunge Giuliano Zincone.
Lo slogan era “Per ottenere il possibile a volte bisogna cercare l’impossibile”, ha ricordato Agnes Heller, la prestigiosa allieva di Lukàcs, nata nel 1929 e rappresentante della cosiddetta “scuola di Budapest”. “Nel ’68 noi ci attendevamo, anzi pretendevamo, il cambiamento radicale della vita, specie della vita dei giovani… Io credo che abbiamo ottenuto il possibile… Ed il post-moderno è nato dal lungo assorbimento del Sessantotto… Dal ’68 sono nati numerosi cambiamenti radicali nella vita di tutti, uomini e donne, fin nei più minuti dettagli…”.
Certo, oggi non è più tempo di sogni. E’ tempo di sopravvivenza. Il lavoro - prima pietra nella costruzione di una vita - torna ad essere un’emergenza sociale e costringe i giovani al precariato e all’emigrazione, impoverendo ulteriormente i nostri paesi. Ma oggi molti giudizi sul Sessantotto sono cambiati. Gianfranco Fini ha affermato: “Se oggi esiste più attenzione per i diritti civili, per le donne e per le minoranze, questi sono lasciti del ‘68”. Ed il citato Paolo Guzzanti, anni fa, scriveva: “Di quell’anno, di quel tempo, restano gli spazi di libertà conquistati e mantenuti… Tutto ciò che ha potuto essere strappato all’ipocrisia, conteso alle mentalità mafiose, restituito alla dignità umana da allora ad oggi, viene da lì”.
Ci sono tanti modi per celebrare il Quarantennale del Sessantotto. C’è chi si pente, e c’è chi rivaluta quegli anni. Uno di questi modi è: considerare con rispetto persone (e non sono poche) che hanno vissuto il Sessantotto in prima persona, pagando (e continuando a pagare) per il rigore morale e l’onestà intellettuale. Il resto, tutto il resto, lo farà la Storia.
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