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Che senso ha presentare un libro su San Mango

20 Dicembre 2007

Oggi 20 dicembre 2007 è stato presentato un libro su San Mango d’Aquino, alla presenza del corpo insegnante e degli alunni delle scuole medie e delle ultime classi delle elementari. Il libro, che fa parte di un progetto più ampio, è a disposizione presso gli uffici comunali per ogni famiglia che lo richiede.

In queste poche righe ho cercato di sintetizzare sia il contenuto del libro che le finalità del Progetto stesso, presentato al Comune nel mese di febbraio del 2007 e finanziato dalla Regione Calabria con fondi europei. Gli obiettivi indicati possono essere raggiunti nel corso di tre anni; per questo si spera che la gestione commissariale duri il meno possibile e che si torni presto alla normalità amministrativa, per riprendere un percorso che inevitabilmente subisce un rallentamento a causa dello scioglimento anticipato del Consiglio comunale.

 

IL  LIBRO

La prima parte di questo volume è dedicata alla scoperta delle radici e molte notizie sono ricavate da un documento d’epoca scritto a Ponza nel 1829. Il documento è stato messo a disposizione dalla famiglia Ferrari e la parte da noi trascritta è stata fornita da Franco Torchia, le cui ricerche sono diventate punto di riferimento per la storia di San Mango. Seguono poi una nota sull’evoluzione dei nomi che hanno identificato San Mango e alcuni cenni storici, con le vicende che si intrecciano con i paesi del circondario; la narrazione termina alla fine del Seicento e lascia aperto lo spazio ad ulteriori contributi che potranno essere pubblicati in futuro. Segue, infine una riflessione sul fiume Savuto, che tanta parte ha avuto nella vita della nostra comunità.

La seconda parte analizza un aspetto particolare della nostra tradizione religiosa - la festa della Buda (che è forse la prima manifestazione religiosa del paese a livello locale) - ed è realizzata mediante la pubblicazione della tesi di laurea di Maria Viola.

Dall’insieme degli elaborati emergono le vicende di un centro abitato in movimento, e grazie anche alle contaminazioni derivanti dai contatti e dalle relazioni con i paesi vicini (in particolare Cleto e Savuto, con i quali San Mango è gemellata), si formano, si stratificano e si consolidano usi, costumi e tradizioni che alimentano il patrimonio culturale fino ai nostri giorni. La narrazione è interrotta da una serie di immagini che si collegano ai testi e ne rendono più agevole la comprensione. La copertina riproduce lo stemma dei d’Aquino, segno di riconoscimento verso la famiglia che ha fondato il nostro paese.

 

Questo, in sintesi, il contenuto del libro, dove storia, religione e folklore si fondono e diventano parte essenziale della memoria collettiva di un popolo.

 

IL  BISOGNO  DI  IDENTITA’  COLLETTIVA

Oggi San Mango d’Aquino, come tanti altri paesi della Calabria, ha bisogno di ritrovare sentimenti di appartenenza alla comunità che si sono persi; ha bisogno di punti di riferimento nei quali identificarsi; ha bisogno di trasmettere valori e comportamenti incentrati sul bene comune; ha bisogno, in poche parole, di dare un senso alla propria esistenza. E per fare questo occorre iniziare un lungo percorso, perché i tratti negativi della cultura moderna hanno fatto registrare nuove forme di povertà, essenzialmente morali, che hanno dato origine a preoccupanti episodi di disagio giovanile.

Fermare questa spirale di violenza e di disagio, allacciare i fili di una società disgregata, recuperare valori umani, riscoprire sentimenti di solidarietà, ricostruire un’identità collettiva… Sono queste le strade che devono percorrere le persone responsabili, ponendo al centro del loro agire quotidiano le risorse locali ed i riferimenti storico-sociali che hanno caratterizzato per secoli l’evolversi della popolazione.

Per risorse locali intendiamo il coinvolgimento di donne e uomini del nostro paese che, con il lavoro o con lo studio, contribuiscono allo sviluppo ed alla crescita della società. C’è già nel paese una tesi di laurea che tratta dello sviluppo che ha avuto San Mango nel Settecento, e se questa edizione del Progetto avrà un seguito, il nostro desiderio è di veder pubblicato questo lavoro, che io considero un importante tassello per meglio comprendere le vicende storiche del nostro paese. Così come ci sono una tesi di laurea sul dialetto e tanti altri lavori prodotti da insegnanti ed alunni delle nostre scuole. Per riferimenti storico-sociali intendiamo quel complesso di usi e costumi, di mestieri, di cultura popolare, di esperienze e di valori che si sono sedimentati nei secoli fino a costituire l’identità territoriale ed il senso di appartenenza.

FARE  UN  REGALO  AI  NOSTRI  FIGLI

Fermare la spirale di violenza e di disagio, aggregare le varie componenti della società, recuperare valori e sentimenti non è impresa facile.

Vito Teti, nel suo recente “Manifesto per la nuova Calabria”, ci ha ricordato che spesso la tradizione viene invocata non dai calabresi, ma dai forestieri per relegare la Calabria in un angolo, fino a far considerare la regione naturalmente e culturalmente irrecuperabile e immodificabile. Il lato perverso di questa teoria – dice Teti – è che essa genera anche nei locali sfiducia, pessimismo, rassegnazione, lamentela; postula l’impossibilità del cambiamento e quindi l’inutilità dell’agire e del fare. Ma c’è ancora un esito più perverso: quello dei calabresi che si sentono assediati e incompresi, abbandonati e denigrati, ed elaborano una cultura della lamentela, per cui tutti i mali vengono attribuiti agli altri, ai forestieri, allo Stato. La responsabilità non è mai “nostra”; ma degli altri, di qualcuno che ci perseguita, che non ci capisce o non ci aiuta a sufficienza. Fin qui Vito Teti.

Noi non vogliamo, però, che la tradizione sammanghese, che la nostra tradizione produca questi effetti. Così come non vogliamo mitizzare le nostre origini e non vogliamo abbandonarci a sterili letture del passato, indugiando su sentimenti di romanticismo e di nostalgia dei bei tempi andati.
Vogliamo vivere il nostro tempo oggi, e vogliamo che la tradizione, che la nostra tradizione diventi memoria, memoria collettiva e quindi “storia vivente”.

Ricostruire la memoria collettiva è necessario perché attraverso la memoria una comunità può utilizzare il passato come mezzo per ancorarsi al presente e per assicurarsi una continuità. Qualcuno ha scritto che “il passato ricostruito collettivamente edifica a sua volta il futuro”. Allora noi dobbiamo fare un regalo ai nostri figli: e questo regalo è la memoria. La memoria di un tempo che non c’è più. Possiamo farlo. Dobbiamo regalare loro la memoria perché solo conoscendo la storia e le tradizioni del passato i giovani potranno dare al paese quel senso civico che manca e potranno scoprire quel senso di appartenenza che allontana le comunità da baratro.  

Con questo spirito abbiamo avviato a San Mango la prima edizione del Progetto pilota di Promozione culturale.

Non è stato facile giungere a questa manifestazione, che rappresenta la conclusione della prima fase del progetto. Molte persone sono ancora chiuse nel loro mondo e non si aprono agli altri. Abbiamo incontrato individualismi e gelosie più o meno nascoste. Ma il futuro appartiene a chi si apre. Chi si chiude è perduto. Teti dice testualmente: “Dovremmo attenuare l’esasperata tendenza all’autosservazione e all’autocompiacimento e aprirci allo sguardo degli altri, agli scrittori, ai musicisti, agli artisti europei e del mondo. Non rinunciare certo alla memoria e alla propria storia, ma contaminarle, rinnovarle, farle dialogare con culture e produzioni di altri luoghi e di altri contesti”.
           
IL  FUTURO  APPARTIENE A  CHI  SI APRE

Per favorire questa contaminazione, per agevolare il dialogo ed il confronto,  abbiamo organizzato l’incontro dei giovani argentini con la comunità sammanghese; ma anche in questa occasione c’è stato qualcuno che ha detto: “E adesso andiamo pure ad ossequiare i parenti di Armando”. Chi ha seguito da vicino quell’incontro – in verità pochi giovani e qualche adulto – sa bene che la delegazione era composta da ragazzi di terza e quarta generazione di emigrati, venuti in Calabria per la prima volta per visitare i paesi di origine dei loro nonni, che sono Maropati, Rosarno, Anoia e Bova, tutti paesi della provincia di Reggio. E quando parlavano della Calabria, io li ho visti piangere, questi ragazzi, che certamente non sono miei parenti.
“Ogni popolo è il risultato del suo processo storico, per cui perdere il rapporto con le radici impedisce di conoscere se stessi, impedisce di autodefinirsi in rapporto al tempo e allo spazio e ciò può produrre una crisi esistenziale”. Così ha scritto lo storico Domenico Ficarra, ma queste parole non sembrano riscuotere l’attenzione della maggioranza dei cittadini sammanghesi.

Siamo all’inizio di un nuovo Millennio, e ci portiamo ancora addosso il dramma della ricerca dell’identità collettiva perduta. Un’identità che sembra non interessare più, considerata la crescente attenzione delle persone verso i beni materiali. Il paese ogni tanto ha un sussulto, ed è capace di iniziative forti e coraggiose che consentono di superare l’isolamento e di abbattere il muro dell’indifferenza che caratterizza il tempo moderno. Ma sono solo momenti.

Manca un’opinione pubblica nella vera accezione del termine. Manca un forte senso civico. Manca il senso di appartenenza ad un luogo, ad una terra. Non si registra una sufficiente partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, così come non c’è sufficiente interesse verso i problemi collettivi. Dal punto di vista delle relazioni e della convivenza civile, il paese è come un edificio che ha bisogno di essere ripreso dalle fondamenta. Il tempo dell’amicizia e della solidarietà, il tempo in cui le porte delle case restavano aperte non c’è più. E’ un tempo che appartiene alla sfera dei ricordi. Oggi dobbiamo fare i conti con un nuovo tipo di società. Dobbiamo fare i conti con i problemi della modernità.

Voi mi direte: Non siamo soli, e che molti altri paesi della Calabria si trovano in queste condizioni.
Il fatto che il problema riguarda tutti non è una giustificazione, e non deve essere una consolazione. Mal comune mezzo gaudio è una scusa per fare niente. Karol Wojtyla, il Papa che è stato protagonista di un pezzo di storia del Novecento, ci ha insegnato che è l’uomo il primo soggetto di ogni cambiamento sociale e storico.

QUALE  CULTURA?

Se ci guardiamo indietro, ci accorgiamo che molta strada è stata percorsa; ma il cammino non è finito e molta strada deve essere ancora fatta. La definizione di “cultura” attende la sua giusta interpretazione. Occorre rinunciare a iniziative effimere e creare strutture culturali stabili. Augusto Placanica ha detto che in Calabria sono le strutture sociali, e soprattutto quelle destinate ad una cultura non effimera e non paesana, che mancano; colpevolmente mancano, per una precisa scelta di politici e amministratori.
           
La scommessa, dunque, si gioca sul piano culturale, perché bisogna smuovere le coscienze, cambiare mentalità, ricercare nuove forme e nuovi spazi per “stare insieme”. Ma non solo. La scommessa è anche sul piano dei comportamenti etici: riguarda prima di tutto i politici, gli amministratori, i servitori dello Stato, ai quali spetta il primo segnale; ma in ultima analisi riguarda pure i cittadini. Per usare i concetti espressi dal sociologo tedesco Max Weber, San Mango d’Aquino deve passare da società (individui che hanno interessi in comune) a comunità (individui che hanno e sentono una comune appartenenza).
           
Molta strada è stata percorsa, e questo libro, questo Progetto, rappresentano la prosecuzione del cammino.

Ma il Progetto avrà successo se dopo l’incontro con i ragazzi argentini ci saranno incontri con i figli degli emigrati sammanghesi di Scranton e di Winnipeg, e se a partecipare a questi incontri ci saranno i giovani di San Mango. Avrà successo se dopo la Mostra sugli antichi mestieri saranno individuati i locali nei quali allestire un piccolo Museo della civiltà contadina. Chi è stato a Morano Calabro il due settembre scorso sa di cosa parlo. A Morano abbiamo visitato due piani di un palazzo, per un totale di venti stanze piene di oggetti e di testimonianze. A San Mango bastano due o tre stanze, per raccogliere gli oggetti e le testimonianze del nostro passato. Il Progetto avrà successo se i laureati, gli studenti ed i cultori di storia e di tradizioni locali metteranno il loro sapere a disposizione della collettività e se i cittadini parteciperanno allo sviluppo del paese. 

E’ un percorso difficile; ma non impossibile. La crescita della nostra comunità riguarda tutti; non è un problema di maggioranza o di opposizione, di chi è Sindaco oggi e di chi sarà Sindaco domani; riguarda tutti, ed ogni uomo, ogni donna deve assumersi le responsabilità del proprio ruolo. Ci sono pezzi di società civile che vogliono una San Mango diversa, ma sono stanchi di inseguire una politica che non interpreta i desideri di cambiamento. Ci sono persone che vogliono dimostrare che impegnarsi non è inutile, ma non trovano i luoghi e le occasioni per farlo. Ed in questo scenario la maggioranza dei cittadini rimane silenziosa ed assiste passivamente al degrado dei valori e all’assenza di identità.

La crescita del paese riguarda tutti e serve l’impegno dei cittadini responsabili. E se c’è qualcuno che ancora è indifferente alla crescita della comunità, allora vuol dire che è insensibile, oppure incapace: non ci sono scuse, e non ci sono vie di mezzo!

Se ci guardiamo indietro, ci accorgiamo che molta strada è stata fatta. Molta altra strada, però, rimane ancora da fare. Saranno i cittadini, con il loro comportamento, a decidere se continuare a camminare, oppure fermarsi

IL  BISOGNO  DI  IDENTITA’  COLLETTIVA

Oggi San Mango d’Aquino, come tanti altri paesi della Calabria, ha bisogno di ritrovare sentimenti di appartenenza alla comunità che si sono persi; ha bisogno di punti di riferimento nei quali identificarsi; ha bisogno di trasmettere valori e comportamenti incentrati sul bene comune; ha bisogno, in poche parole, di dare un senso alla propria esistenza. E per fare questo occorre iniziare un lungo percorso, perché i tratti negativi della cultura moderna hanno fatto registrare nuove forme di povertà, essenzialmente morali, che hanno dato origine a preoccupanti episodi di disagio giovanile.

Fermare questa spirale di violenza e di disagio, allacciare i fili di una società disgregata, recuperare valori umani, riscoprire sentimenti di solidarietà, ricostruire un’identità collettiva… Sono queste le strade che devono percorrere le persone responsabili, ponendo al centro del loro agire quotidiano le risorse locali ed i riferimenti storico-sociali che hanno caratterizzato per secoli l’evolversi della popolazione.

Per risorse locali intendiamo il coinvolgimento di donne e uomini del nostro paese che, con il lavoro o con lo studio, contribuiscono allo sviluppo ed alla crescita della società. C’è già nel paese una tesi di laurea che tratta dello sviluppo che ha avuto San Mango nel Settecento, e se questa edizione del Progetto avrà un seguito, il nostro desiderio è di veder pubblicato questo lavoro, che io considero un importante tassello per meglio comprendere le vicende storiche del nostro paese. Così come ci sono una tesi di laurea sul dialetto e tanti altri lavori prodotti da insegnanti ed alunni delle nostre scuole. Per riferimenti storico-sociali intendiamo quel complesso di usi e costumi, di mestieri, di cultura popolare, di esperienze e di valori che si sono sedimentati nei secoli fino a costituire l’identità territoriale ed il senso di appartenenza.

FARE  UN  REGALO  AI  NOSTRI  FIGLI

Fermare la spirale di violenza e di disagio, aggregare le varie componenti della società, recuperare valori e sentimenti non è impresa facile.

Vito Teti, nel suo recente “Manifesto per la nuova Calabria”, ci ha ricordato che spesso la tradizione viene invocata non dai calabresi, ma dai forestieri per relegare la Calabria in un angolo, fino a far considerare la regione naturalmente e culturalmente irrecuperabile e immodificabile. Il lato perverso di questa teoria – dice Teti – è che essa genera anche nei locali sfiducia, pessimismo, rassegnazione, lamentela; postula l’impossibilità del cambiamento e quindi l’inutilità dell’agire e del fare. Ma c’è ancora un esito più perverso: quello dei calabresi che si sentono assediati e incompresi, abbandonati e denigrati, ed elaborano una cultura della lamentela, per cui tutti i mali vengono attribuiti agli altri, ai forestieri, allo Stato. La responsabilità non è mai “nostra”; ma degli altri, di qualcuno che ci perseguita, che non ci capisce o non ci aiuta a sufficienza. Fin qui Vito Teti.

Noi non vogliamo, però, che la tradizione sammanghese, che la nostra tradizione produca questi effetti. Così come non vogliamo mitizzare le nostre origini e non vogliamo abbandonarci a sterili letture del passato, indugiando su sentimenti di romanticismo e di nostalgia dei bei tempi andati.
Vogliamo vivere il nostro tempo oggi, e vogliamo che la tradizione, che la nostra tradizione diventi memoria, memoria collettiva e quindi “storia vivente”.

Ricostruire la memoria collettiva è necessario perché attraverso la memoria una comunità può utilizzare il passato come mezzo per ancorarsi al presente e per assicurarsi una continuità. Qualcuno ha scritto che “il passato ricostruito collettivamente edifica a sua volta il futuro”. Allora noi dobbiamo fare un regalo ai nostri figli: e questo regalo è la memoria. La memoria di un tempo che non c’è più. Possiamo farlo. Dobbiamo regalare loro la memoria perché solo conoscendo la storia e le tradizioni del passato i giovani potranno dare al paese quel senso civico che manca e potranno scoprire quel senso di appartenenza che allontana le comunità da baratro.  

Con questo spirito abbiamo avviato a San Mango la prima edizione del Progetto pilota di Promozione culturale.

Non è stato facile giungere a questa manifestazione, che rappresenta la conclusione della prima fase del progetto. Molte persone sono ancora chiuse nel loro mondo e non si aprono agli altri. Abbiamo incontrato individualismi e gelosie più o meno nascoste. Ma il futuro appartiene a chi si apre. Chi si chiude è perduto. Teti dice testualmente: “Dovremmo attenuare l’esasperata tendenza all’autosservazione e all’autocompiacimento e aprirci allo sguardo degli altri, agli scrittori, ai musicisti, agli artisti europei e del mondo. Non rinunciare certo alla memoria e alla propria storia, ma contaminarle, rinnovarle, farle dialogare con culture e produzioni di altri luoghi e di altri contesti”.
           
IL  FUTURO  APPARTIENE A  CHI  SI APRE

Per favorire questa contaminazione, per agevolare il dialogo ed il confronto,  abbiamo organizzato l’incontro dei giovani argentini con la comunità sammanghese; ma anche in questa occasione c’è stato qualcuno che ha detto: “E adesso andiamo pure ad ossequiare i parenti di Armando”. Chi ha seguito da vicino quell’incontro – in verità pochi giovani e qualche adulto – sa bene che la delegazione era composta da ragazzi di terza e quarta generazione di emigrati, venuti in Calabria per la prima volta per visitare i paesi di origine dei loro nonni, che sono Maropati, Rosarno, Anoia e Bova, tutti paesi della provincia di Reggio. E quando parlavano della Calabria, io li ho visti piangere, questi ragazzi, che certamente non sono miei parenti.
“Ogni popolo è il risultato del suo processo storico, per cui perdere il rapporto con le radici impedisce di conoscere se stessi, impedisce di autodefinirsi in rapporto al tempo e allo spazio e ciò può produrre una crisi esistenziale”. Così ha scritto lo storico Domenico Ficarra, ma queste parole non sembrano riscuotere l’attenzione della maggioranza dei cittadini sammanghesi.

Siamo all’inizio di un nuovo Millennio, e ci portiamo ancora addosso il dramma della ricerca dell’identità collettiva perduta. Un’identità che sembra non interessare più, considerata la crescente attenzione delle persone verso i beni materiali. Il paese ogni tanto ha un sussulto, ed è capace di iniziative forti e coraggiose che consentono di superare l’isolamento e di abbattere il muro dell’indifferenza che caratterizza il tempo moderno. Ma sono solo momenti.

Manca un’opinione pubblica nella vera accezione del termine. Manca un forte senso civico. Manca il senso di appartenenza ad un luogo, ad una terra. Non si registra una sufficiente partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, così come non c’è sufficiente interesse verso i problemi collettivi. Dal punto di vista delle relazioni e della convivenza civile, il paese è come un edificio che ha bisogno di essere ripreso dalle fondamenta. Il tempo dell’amicizia e della solidarietà, il tempo in cui le porte delle case restavano aperte non c’è più. E’ un tempo che appartiene alla sfera dei ricordi. Oggi dobbiamo fare i conti con un nuovo tipo di società. Dobbiamo fare i conti con i problemi della modernità.

Voi mi direte: Non siamo soli, e che molti altri paesi della Calabria si trovano in queste condizioni.
Il fatto che il problema riguarda tutti non è una giustificazione, e non deve essere una consolazione. Mal comune mezzo gaudio è una scusa per fare niente. Karol Wojtyla, il Papa che è stato protagonista di un pezzo di storia del Novecento, ci ha insegnato che è l’uomo il primo soggetto di ogni cambiamento sociale e storico.

QUALE  CULTURA?

Se ci guardiamo indietro, ci accorgiamo che molta strada è stata percorsa; ma il cammino non è finito e molta strada deve essere ancora fatta. La definizione di “cultura” attende la sua giusta interpretazione. Occorre rinunciare a iniziative effimere e creare strutture culturali stabili. Augusto Placanica ha detto che in Calabria sono le strutture sociali, e soprattutto quelle destinate ad una cultura non effimera e non paesana, che mancano; colpevolmente mancano, per una precisa scelta di politici e amministratori.
           
La scommessa, dunque, si gioca sul piano culturale, perché bisogna smuovere le coscienze, cambiare mentalità, ricercare nuove forme e nuovi spazi per “stare insieme”. Ma non solo. La scommessa è anche sul piano dei comportamenti etici: riguarda prima di tutto i politici, gli amministratori, i servitori dello Stato, ai quali spetta il primo segnale; ma in ultima analisi riguarda pure i cittadini. Per usare i concetti espressi dal sociologo tedesco Max Weber, San Mango d’Aquino deve passare da società (individui che hanno interessi in comune) a comunità (individui che hanno e sentono una comune appartenenza).
           
Molta strada è stata percorsa, e questo libro, questo Progetto, rappresentano la prosecuzione del cammino.

Ma il Progetto avrà successo se dopo l’incontro con i ragazzi argentini ci saranno incontri con i figli degli emigrati sammanghesi di Scranton e di Winnipeg, e se a partecipare a questi incontri ci saranno i giovani di San Mango. Avrà successo se dopo la Mostra sugli antichi mestieri saranno individuati i locali nei quali allestire un piccolo Museo della civiltà contadina. Chi è stato a Morano Calabro il due settembre scorso sa di cosa parlo. A Morano abbiamo visitato due piani di un palazzo, per un totale di venti stanze piene di oggetti e di testimonianze. A San Mango bastano due o tre stanze, per raccogliere gli oggetti e le testimonianze del nostro passato. Il Progetto avrà successo se i laureati, gli studenti ed i cultori di storia e di tradizioni locali metteranno il loro sapere a disposizione della collettività e se i cittadini parteciperanno allo sviluppo del paese. 

E’ un percorso difficile; ma non impossibile. La crescita della nostra comunità riguarda tutti; non è un problema di maggioranza o di opposizione, di chi è Sindaco oggi e di chi sarà Sindaco domani; riguarda tutti, ed ogni uomo, ogni donna deve assumersi le responsabilità del proprio ruolo. Ci sono pezzi di società civile che vogliono una San Mango diversa, ma sono stanchi di inseguire una politica che non interpreta i desideri di cambiamento. Ci sono persone che vogliono dimostrare che impegnarsi non è inutile, ma non trovano i luoghi e le occasioni per farlo. Ed in questo scenario la maggioranza dei cittadini rimane silenziosa ed assiste passivamente al degrado dei valori e all’assenza di identità.

 

La crescita del paese riguarda tutti e serve l’impegno dei cittadini responsabili. E se c’è qualcuno che ancora è indifferente alla crescita della comunità, allora vuol dire che è insensibile, oppure incapace: non ci sono scuse, e non ci sono vie di mezzo!

Se ci guardiamo indietro, ci accorgiamo che molta strada è stata fatta. Molta altra strada, però, rimane ancora da fare. Saranno i cittadini, con il loro comportamento, a decidere se continuare a camminare, oppure fermarsi