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In Calabria non cambia nulla
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In Calabria non cambia nulla

14 Luglio 2007

La Calabria finisce spesso sui giornali per fatti di cronaca nera, e noi ci lamentiamo di questo – forse giustamente – cercando di far capire al resto del Paese che il vero volto della regione è diverso. Ma gli altri non sembrano più disposti ad ascoltarci.

Ci rimproverano lo sperpero del denaro pubblico, l’intervento straordinario, l’assenza di idee e di progetti, l’inadeguatezza della classe dirigente, la mancanza di un serio tessuto imprenditoriale, la superficialità e l’effimero della cultura locale, oltre – naturalmente – le clientele elettorali e l’invadenza mafiosa.


Cosa possiamo rispondere, noi meridionali, a tutto questo?
Rosario Villari ci ha ricordato che il futuro della Calabria è nelle nostre mani, che nessuno più è disposto regalarci qualcosa e che la solidarietà della Nazione è una cosa che non ci spetta più di diritto, ma dobbiamo conquistarcela e saperla poi conservare.
E Gianni Corbi ha scritto che “la classe dirigente meridionale si è resa responsabile di un disastro storico. Essa lascia in eredità intere regioni ingovernabili, corrose da un cancro economico, morale e psicologico…”
E siccome per l’amministrazione degli Enti Locali la classe dirigente viene fornita dai partiti, la domanda che dobbiamo porci è questa: “Sono in grado i partiti in Calabria di fornire uomini capaci di avvicinare la regione al resto d’Italia?”.
Gli esempi non sono edificanti, e la speranza di un cambiamento non è certo esaltante. La classe politica calabrese, e quindi gli uomini delle istituzioni, non sono altro – per dirla con Scalfari – che un “chiacchiericcio immenso, un rumore assordante, una difesa puntigliosa e avida degli interessi di corporazione, di cortile, di campanile…”, un luogo dove tutti “parlano, parlano, parlano, senza ritegno, senza stile, senza esattezza”. Chi, dunque, può fornire nuova classe dirigente alla Calabria?
Forse la Chiesa. Quella Chiesa che, secondo Maritain, deve essere strumento di animazione etico-morale, non limitandosi al magistero teologico che riguarda più propriamente la dottrina della salvezza, ma fornendo un progetto di liberazione dall’oppressione e dalla miseria morale e materiale ad una società dove tutto è fermo, immobile, stagnante: partiti, sindacati, istituzioni.
Ma è in grado la Chiesa calabrese di rispondere oggi alle istanze che provengono dalla società civile?
Ora però mi fermo, e chiedo scusa ai lettori perché ho messo in atto una piccola provocazione: le frasi che avete letto fino a questo punto fanno parte di un articolo pubblicato nel 1991 in occasione della cerimonia di consegna del “Cartiglio d’Oro” allo storico Rosario Villari, avvenuta a Soveria Mannelli nel mese di novembre dello stesso anno. Le frasi sono valide anche per l’oggi. Ho voluto dimostrare come in Calabria il tempo sembra essersi fermato, e come l’immobilismo regni sovrano.
Allora, nel 1991, si parlava ancora di questione meridionale e tutto il Mezzogiorno era investito dal sottosviluppo. Nel 2007, a distanza di sedici anni, ci sono aree del Meridione che si sono agganciate al treno dello sviluppo (Molise, Basilicata, alcune province della Puglia), ed altre – come la Calabria – che sono rimaste indietro. Nel 2005 la ricchezza è cresciuta dell’1,5% in Abruzzo, dell’1,3% in Sicilia e dello 0,7% nel Molise; in Calabria è diminuita del 2,4%, ed oggi il Pil pro-capite della nostra regione è meno della metà di quello della Lombardia e dell’Emilia Romagna.    
Marco Minniti ha ragione quando dice che in Calabria c’è una società che dipende molto dalla politica. Pure i cittadini hanno ragione quando dicono: “Tanto non cambia nulla”.
Allora chi deve cambiare, chi deve essere l’artefice del cambiamento in questa regione?
La classe politica è scelta dai cittadini. Cosa sono, dunque, deputati e senatori, consiglieri regionale e provinciali, assessori di ogni ordine e grado, se non lo specchio della società?
E se i calabresi si riappropriassero del diritto di cittadinanza ed esercitassero le loro prerogative con coraggio e con determinazione per limitare l’invadenza della politica?