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L’Italia è veramente un paese impazzito?
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L’Italia è veramente un paese impazzito?

12 Gennaio 2007

L’Italia è un Paese strano perché ha rinunciato alla crescita e vive di rendita.

Lo ha descritto bene il ministro dell’Economia: il giovane imprenditore che consuma l’avviamento dell’azienda fondata dal padre o dal nonno; il titolare di cattedra che da anni non fa ricerca, non pubblica su riviste scientifiche e non sta mai con gli studenti; l’impiegato pubblico che non può essere trasferito né in un luogo diverso della residenza né ad altre mansioni, mentre spesso nessuno controlla se è presente al lavoro oppure no; i magistrati che vanno in vacanza per due mesi all’anno; i piloti d’aereo che prestano servizio solo due giorni la settimana; il professore accademico che insegna poche ore a settimana e solo per pochi mesi l’anno… E poi ancora: largo consumo di beni superflui; prolungate degenze in ospedale in attesa di analisi che non richiedono ricovero; consumo dell’ambiente naturale; studi svogliati in campi che non danno né vera cultura né prospettive di lavoro.

 

Come dice l’ultimo rapporto Censis, la “voglia di ritirarsi” ha preso il sopravvento sul “gusto di provarci”, e quest’atteggiamento è tipico di una società anziana.

Ma ancora più strano è il suo popolo, gli italiani.

A leggere i giornali degli ultimi giorni si apprende che una parte considerevole del centrodestra, da Forza Italia ad Alleanza Nazionale, è favorevole ad un referendum per stabilire le regole di un nuovo sistema elettorale.

Il Messaggero scrive che “in realtà il Cavaliere scommette sul referendum” e il Corriere della Sera riporta la frase di Bondi: “Faremo valere il nostro peso elettorale raccogliendo le firme per il referendum”. Mentre Ronchi di An dice che “il referendum introduce elementi di chiarezza rispetto a un quadro che può prestare il gioco a posizioni strumentali”.

Ma come, l’ultima legge per l’elezione di Camera e Senato non è stata approvata proprio un anno fa dalla maggioranza di centrodestra? In altre parole, da coloro che ora vogliono cambiarla e per farlo non esitano a ricorrere al referendum?

E poi, sul sistema elettorale non ci sono già stati, in Italia, altri referendum?

Il 9 giugno 1991 il 95,6% degli elettori si pronuncia a favore dell’abolizione delle quattro preferenze assegnate nell’elezione della Camera dei deputati, dando uno schiaffo a Craxi che aveva invitato a non andare a votare.

Il 18 aprile 1993 l’82,3% degli elettori abolisce il sistema proporzionale aprendo la strada al sistema maggioritario con collegio uninominale, e così siamo andati avanti fino alle politiche del 2006, quando i cittadini sono stati chiamati a scegliere deputati e senatori con una legge della Casa delle Libertà che aveva ripristinato il proporzionale.

Ed oggi, gennaio 2007, a chiedere la modifica di questa legge sono gli stessi che un anno fa l’hanno votata, uomini della Cdl, o meglio, di ciò che rimane della vecchia Casa, visto che Udc e Lega non sono d’accordo con Fini e Berlusconi.

La memoria corre indietro negli anni e mi riporta al tempo in cui un premio elettorale per la maggioranza che superava il 50% era chiamato “legge truffa”, mentre oggi lo stesso meccanismo è diventato “premio di maggioranza” e nessuno più si scandalizza; anzi, sono molti coloro che lo difendono!

Ha ragione Linda Lanzillotta, ministro degli Affari regionali, quando afferma che “siamo un paese che va a cicli di mode: per anni si va avanti con certi temi, poi, improvvisamente, l’attenzione cade”. E forse aveva ragione pure Romano Prodi, quando parlava dell’Italia come di un Paese impazzito. 

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