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Falcone, Borsellino e Caponnetto
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Falcone, Borsellino e Caponnetto

23 Maggio 2006

Il 23 maggio di quattordici anni fa, nel 1992, a Capaci, nel tratto di autostrada che dall'aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo, cento chili di tritolo e un comando a distanza fanno saltare in aria le auto di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli uomini di scorta, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

 

L'Italia sta attraversando un momento particolarmente difficile, stretta tra la violenza delle Brigate Rosse, la vicenda della P2, le trame oscure, le stragi, i crimini della mafia.

In Sicilia, l'uccisione del giudice Cesare Terranova e dell'agente di scorta Lenin Mancuso, nel 1978, aveva fatto capire che la mafia era pronta ad alzare il tiro, e negli anni successivi erano caduti sotto i colpi dei mitra e delle autobomba il segretario regionale della DC Michele Reina, il capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, il presidente della Regione Piersanti Mattarella, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, il procuratore della Repubblica Gaetano Costa, il segretario regionale del PCI Pio La Torre assieme al suo autista, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo, il capitano dei carabinieri Mario D'Aleo, il giudice Giacomo Ciaccio Montalto ed il capo dell'ufficio istruzione di Palermo Rocco Chinnici.

Antonino Caponnetto aveva lasciato la Toscana ed era tornato nella sua terra di origine, per coordinare il lavoro di magistrati che rispondevano al nome di Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta, i quattro allievi di Chinnici destinati a diventare i suoi compagni di viaggio. Capo dell'ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, Caponnetto aveva fondato quel pool antimafia che si apprestava a scrivere una grande pagina della magistratura siciliana: un anno e mezzo di lavoro duro per preparare una monumentale ordinanza di rinvio a giudizio che doveva gettare le basi per il primo maxi processo contro le famiglie di mafia.

Alcuni pezzi di società civile (soprattutto i giovani) cominciavano a sostenere i giudici, e mentre continuava la mattanza (a morire erano il commissario Beppe Montana, il dirigente della squadra investigativa di Palermo Ninni Cassarà e l'agente Roberto Antiochia), la sera dell'8 novembre 1985 il pool depositava l'ordinanza che chiudeva l'istruttoria e rinviava a giudizio 475 imputati.

La sentenza del maxi processo a Cosa Nostra è del 16 dicembre 1987 ed accoglie in pieno le tesi accusatorie del pool guidato da Caponnetto: è una sentenza di condanna contro i boss della cupola, contro centinaia di soldati dell'organizzazione criminale e contro numerosi trafficanti di eroina.

Ha scritto il giornalista Giommaria Monti: “Ci fu un lungo periodo in cui il lavoro del pool viaggiò di pari passo con la voglia di crescere della città. La chiamavano “la primavera di Palermo”, quella che portò il democristiano eretico Leoluca Orlando alla poltrona di sindaco contro i potentati dell'isola, contro Salvo Lima e gli andreottiani”.

Il 30 gennaio 1992 la Corte di Cassazione conferma in via definitiva gli ergastoli per i boss di Cosa Nostra, e allora si scatena la reazione di Totò Riina e dei corleonesi. Il 12 marzo viene ucciso Salvo Lima, e gli inquirenti - scrive Monti - sono convinti che Cosa Nostra abbia voluto colpire il garante degli equilibri nell'isola, l'uomo in grado di assicurare l'intervento politico per l'aggiustamento dei processi: garanzie che, probabilmente, non poteva più dare.

Il 23 maggio dello stesso anno tocca a Giovanni Falcone, che nel frattempo aveva lasciato la Sicilia per un incarico al Ministero di Grazia e Giustizia, a Roma, e proprio da Roma stava tornando nella sua Palermo, quando lo scoppio del tritolo investe le auto nelle quali viaggiava con la moglie e la scorta. “Paolo, mi vuoi rispondere? Come sta Giovanni?” chiede al telefono Antonino Caponetto nel pomeriggio di quel giorno. “E' morto un minuto fa tra le mie braccia”, risponde Borsellino. Erano le 19.07…

Pochi giorni dopo, il 25 giugno 1992, Paolo Borsellino ricorda Giovanni Falcone riprendendo un'affermazione di Caponnetto, e dice: “…Oggi che tutti ci rendiamo conto di quale sia stata la statura di quest'uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 18 gennaio del 1988, se non forse l'anno prima, in quella data che ha ora ricordato Leoluca Orlando: cioè quell'articolo di Leonardo Sciascia sul Corriere della sera che bollava me come un professionista dell'antimafia, l'amico Orlando come un professionista della politica, dell'antimafia politica”.

Il 18 gennaio 1988 Giovanni Falcone era stato bocciato nella sua corsa all'ufficio istruzione lasciato libero da Caponnetto, e al suo posto era stato preferito Antonino Meli. La decisione del CSM ed il successivo comportamento di Meli portarono, allora, allo smantellamento del pool che tanti successi aveva ottenuto nella lotta alla mafia.

Non passano due mesi dalla strage di Capaci, e la sera del 19 luglio un giornalista avverte Caponnetto di un'esplosione avvenuta a Palermo: in Via Mariano D'Amelio avevano trovato la morte Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina.

L'ultima persona con cui Paolo Borsellino si è intrattenuto a pranzo, domenica 19 luglio 1992, è stato un amico d'infanzia, Giuseppe Tricoli. A lui Borsellino aveva detto “Questo esplosivo è per me”, con riferimento alla notizia che un grosso quantitativo di esplosivo era giunto in Sicilia. E dopo la morte di Falcone, in una conversazione telefonica con il suo vecchio capo, ed amico, Antonino Caponnetto, aveva confessato: “Mi ritrovo più o meno nella stessa situazione in cui si trovava Giovanni… Come caratteri, io e Giovanni siamo diversi. Io cerco di evitare scontri frontali, aperti, cerco di svolgere il mio lavoro nel modo migliore, di adattarmi alla situazione, creandomi una mia nicchia… Ma non è facile, non sono molti quelli su cui posso contare. Anzi, sono pochissimi… E quindi lavoro in condizioni difficili”.

Il 27 agosto 1990 Leoluca Orlando aveva lanciato a Trento l'idea della Rete; il 25 novembre l'ex sindaco di Palermo aveva deciso di abbandonare la DC e l'annuncio della creazione di un “Movimento per la Democrazia ” viene dato con una intervista a Famiglia Cristiana nel numero più letto del settimanale, quello di Natale.

Antonino Caponnetto aderisce subito al Movimento di Orlando e si mette a girare l'Italia per dare un suo personale contributo all'affermazione della questione morale come punto centrale della vita politica nazionale.

“La mia adesione alla Rete – dirà al giornalista Saverio Lodato – si spiega in maniera molto semplice. Condivido i principi basilari su cui si regge il movimento: la pace, la solidarietà, il principio di responsabilità, la tutela dei diritti fondamentali dell'individuo e della persona umana. Ma non solo: la difesa dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura. E la lotta per l'abolizione, o quantomeno una forte restrizione, dell'immunità parlamentare… E le confesso che non mi dispiacerebbe l'idea di poter vivere una vera e propria primavera italiana, quella che ormai viene chiamata, con le parole del Capo dello Stato, la Nuova Resistenza ”.

Ho conosciuto personalmente Antonino Caponnetto perché sono stato coordinatore regionale per “ La Rete ” in Calabria, e dopo quattordici anni queste sue parole, pronunciate nell'anno della morte di Falcone e Borsellino, per il modo di agire e per le circostanze che caratterizzano i nostri giorni, mi sembrano parole d'altri tempi.

Falcone, Borsellino e Caponnetto… scrivere ancora di loro, in occasione del 14° anniversario della strage di Capaci, credo sia il modo migliore per continuare a ricordarli. E ricordando loro, ci accorgiamo che il pericolo mafioso è ancora presente nella società italiana. Solo pochi giorni fa il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha dichiarato: “La mafia cerca di andare dove è il potere e cerca di fare da intermediaria nella gestione del potere, quindi bisogna stare molto attenti e molto in guardia in questo periodo di instabilità e di incertezza politica”. Un monito per le forze politiche, ma un monito, soprattutto, per i cittadini.