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Il Fedelissimo
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Il Fedelissimo

01 Gennaio 2004

“Sciuri, sciuri, sciuri di tuttu l'annu, l'amuri ca mi dasti ti lu tornu…”
Questa era forse la canzone che, alle prime luci dell'alba, un contadino siciliano, a dorso del suo mulo, serenamente cantava, mentre si recava, a passo lento, verso la sua vicina campagna, per il lavoro quotidiano.
Gli scorrazzava intorno un bel cane che, con il suo muoversi e con il frequente abbaiare sembrava volesse fare da coro al padrone.
Ma quella mattina anche due carabinieri, di buon'ora, erano usciti in perlustrazione.
Il contadino, vedendoseli improvvisamente davanti, a tutto poteva pensare, tranne di essere fermato per un controllo e con una voce serena li salutò: “Baciamo le mani a Vussìa!” 
La risposta del militare più anziano, anche lui siciliano, fu immediata: “Sa benerìca a Vussìa!” e con un tono apparentemente serio ma, nascondendo una certa ironia e certamente senza alcuna volontà di procedere, aggiunse: “Lei è in contravvenzione!”
L'uomo, udendo quelle parole, sgranando gli occhi e quasi incredulo, gli rispose: “Perché Vussìa mi vuole fare una multa, cosa ho fatto?”. 
“Perché sta portando il cane in giro senza il guinzaglio e senza la museruola” fu la risposta secca del militare. 
Il povero contadino si sentiva amareggiato e con preoccupazione replicava che il cane non era suo ed aiutandosi ripetutamente anche con alcuni movimenti delle mani, lo invitava ad allontanarsi.
Ma anche il cane non si rendeva conto di quello che stava accadendo e scrutava intorno con occhi attenti, spostandosi di qualche metro, fissando ancora lo sguardo verso il suo padrone, il quale tentava ancora ed in tutti i modi di far credere che non fosse suo. 
I tentativi, palesemente comici, addirittura divertivano i militari che osservavano la scena senza nascondere qualche amena risata. 
Approfittando, quindi, del fatto che il cane s'era fermato ad una certa distanza, convinto di aver dimostrato ai carabinieri la propria innocenza, il contadino incitò il mulo ad andare via, allontanandosi velocemente, dopo averli salutati, senza più voltarsi. 
Il cane, infine, muovendo e arrotolando la coda, rivolse lo sguardo verso i due carabinieri e proseguì il cammino, al seguito del suo padrone, che in verità non cantava più, fermandosi ogni tanto e guardando ancora dietro, quasi a voler dire: “Ma guarda che razza di padrone ho!! E io che gli sono sempre fedele!”

Angelo Orlando

Sammanghese di origine, vive da anni ad Empoli, ma ritorna con piacere al nostro paese ogni volta che ne ha occasione. Autore versatile, passa con abilità dalla prosa alla poesia.

01/07/2004

Leggendo le liriche di Angelo non possiamo fare a meno di richiamare alla memoria Quinto Orazio Flacco, a cui per certi aspetti si avvicina; prima di tutto nell'esaltazione dell'inebriante bevanda dono di Dioniso e nell'attribuzione ad essa di doti terapeutiche: “Nunc vino pellite curas” invita Orazio; “… secuta ogne affannu … Sculatillu ‘nu parmu ‘e vinu/ è medicina ppe ru stentinu” dice Angelo. Ma altri elementi li accomunano: la capacità di raffigurare i personaggi popolari e gli amici con garbato e fine umorismo e di rappresentare scene di vita vissuta, siano esse malinconiche, siano esse divertenti, sempre con vivacità e sottile ironia.Ma Orlando non è solo questo. Fortemente presente è l’amore e la nostalgia per il suo paese, ma soprattutto per il tempo della giovinezza e della vita familiare qui vissute. E’ tanto atteso il momento del ritorno, ma quasi è delusione per ciò che trova, anzi, per ciò che non trova perché non c’è più o perché è cambiato: la sua casa c’è ancora, ma non più i suoi genitori e non più il fuoco scoppiettante nel camino (simbolo di vita) e, dice Angelo ”… l’allegrizza mia diventa amara.”

Prof.ssa Mery Torchia