Consiglio Regionale e lotta contro la mafia
A. OrlandoGiuseppe Bova non ci sta. Parla del Consiglio regionale di cui è presidente e, tra l’altro, afferma: “E’ chiaro a tutti l’impegno concreto del Consiglio regionale sul terreno della legalità e dell’azione contro la ‘ndrangheta”.
Ma le cifre non lasciano spazio a dubbi ed il procuratore nazionale antimafia dice: “Esistono al momento dieci procedimenti in corso a Reggio, nessuno per reati di mafia. Altri dodici consiglieri sono indagati a Catanzaro, otto per reati comuni e quattro per reati legati alla criminalità organizzata. Il numero complessivo dei consiglieri indagati è, dunque, ventidue”.
Poi Bova aggiunge: “Per quanto mi riguarda, mi sono sforzato di fare tutto il possibile perché le cose avessero una piega seria e rigorosa. Ma, allo stato delle cose, purtroppo, questa si sta rivelando, in tutta evidenza, una missione pressoché impossibile”. E precisa che di fronte a tale mole di problemi, forse non bastano solo gesti individuali.
Si, ha ragione. Non bastano più i gesti individuali. E ha ragione pure quando dice che in Calabria non basta più, per assolvere onestamente il mandato popolare, il consenso trasparente degli elettori, l’impegno rigoroso nell’azione legislativa o, infine, appellarsi alle regole della democrazia.
Ma perché siamo arrivati a questo punto? E dove vanno cercate le responsabilità, se non anche e soprattutto nei partiti politici? In tutti i partiti politici, perchè ormai tutti, dico tutti, sono stati al governo della regione. E non solo in tempi recenti.
Limitando il discorso al partito del presidente Bova, ricordiamo che nell’agosto del 1975 l’allora Pci firma un accordo programmatico tra cinque partiti e viene eletta una giunta composta da Dc-Psi-Psdi-Pri con l’astensione del Pci. L’astensione viene confermata nel 1976 per una giunta composta da Dc-Psi-Psdi e poi nel 1978 dopo l’uccisione di Aldo Moro; ma il risultato della politica delle larghe intese non è all’altezza delle esigenze di cambiamento che la società calabrese sembra esprimere non solo attraverso il voto, ma con lotte sociali, scioperi e con la grande manifestazione sindacale dei 30 mila calabresi a Roma di ottobre 1978. E che dire dell’esperienza della giunta di sinistra alla Regione, sul finire degli anni ’80, e della cosiddetta “Giunta delle regole” negli anni ’90?
Basta così, onorevole Bova, oppure dobbiamo andare avanti e ricordare che nel 1993 la richiesta di scioglimento del Consiglio regionale ha tenuto acceso il dibattito politico per l’intero anno?
Una conferenza stampa di Verdi, Rete e Rifondazione comunista aveva precisato che su 40 consiglieri regionali eletti, 3 erano sospesi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ed altri 19 risultavano condannati in primo grado, rinviati a giudizio, indagati o arrestati non solo per reati contro la Pubblica Amministrazione, ma per concussione, voto di scambio, associazione a delinquere. Franco Argada, segretario di Rifondazione, disse, allora, che “quasi la metà dei consiglieri regionali sono coinvolti in indagini giudiziarie, alcune, quali le incriminazioni per l’omicidio Ligato, di estrema gravità”.
Ma i consiglieri regionali, lei compreso, sono rimasti al loro posto ed hanno concluso la legislatura. Ora lei si trova a presiedere il Consiglio regionale e le parole che dice sono da condividere. Però, se la missione è pressoché impossibile e di fronte a tale mole di problemi, forse non bastano solo gesti individuali, cosa aspettate, lei ed il suo partito, a muovervi?
Nel 2004, a distanza di 34 anni dalla nascita della Regione, Franco Ambrogio, che del Pci è stato una delle figure più importanti e rappresentative, scrive: “Nel senso comune oggi la Regione non è un luogo dove si rappresenta una dialettica politico-democratica e dove si esercita un governo responsabile ed unitario. E’ un ente da una parte lontano dalla vita della gente e dall’altra un ente sul quale alcune categorie e lobby esercitano una pressione per ottenere qualcosa”. E Marco Minniti, uomo di punta della politica calabrese e vice ministro dell’Interno, dice: “Il rapporto tra mafia e politica è un punto cruciale. Bisogna fare indagini serie su questo rapporto…”.
Don Ciotti dice che la mafia non si combatte a parole; la mafia si combatte con i fatti, e con azioni quotidiane che siano coerenti con i buoni propositi.
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