IL VOTO DI APRILE VISTO DA LONTANO

Alcuni giornali stranieri combinati in una rielaborazione grafica, Roma 11 dicembre 2012 ANSA

E’ interessante vedere come i giornali esteri hanno commentato le elezioni italiane. Riportiamo in sintesi alcuni interventi registrati in questi giorni, partendo dai titoli: “Vittoria precaria. La coalizione di sinistra ce la fa per un pelo. Berlusconi contesta il risultato” è di Liberation, mentre The New York Times scrive “Voto italiano, echi americani” con un chiaro riferimento alle incertezze che hanno accompagnato la vittoria elettorale di Bush nel 2000; The Indipendent e The Guardian correlano voto e arresto di Provenzano e titolano “Fine della corsa per il padrino” e “Il potere passa di mano in Italia. Il capo dei capi viene preso”.

“Caos in Italia” e “Un insulto a una nazione intelligente. Né il buffone Berlusconi né il fragile Prodi meritavano di vincere” sono alcuni titoli del Times, mentre da Parigi Marc Lazar, direttore della Scuola di Scienze Politiche, dice: “L’era Berlusconi è forse finita, ma il berlusconismo resta e potrà presentarsi in altre democrazie europee, in un’era in cui prevalgono paure ed egoismi individuali”. Il settimanale tedesco Die Zeit, per bocca del direttore Giovanni di Lorenzo, scrive: “La sconfitta di Berlusconi avrebbe eliminato un’anomalia europea. In nessun Paese sarebbe possibile accettare un simile conflitto di interessi”; ma manifesta seri dubbi sulla possibilità di Prodi di collaborare con Rifondazione Comunista. E sempre da Parigi, Le Monde esprime fiducia per la ripresa del dialogo europeo ma teme uno stallo per l’assunzione di decisioni importanti.

L’economista francese Jean-Paul Fitoussi mostra fiducia nella capacità di ripresa dell’Italia e, oltre al problema economico, mette in evidenza il deficit di immagine che “viene essenzialmente dal fatto che in nessun paese europeo il presidente del Consiglio è in grado di controllare direttamente delle televisioni e dei media”.

Un tema, quest’ultimo, ripreso da Charles Kupchan, ex consigliere di Bill Clinton e professore alla Georgetown University di Washington, il quale dice: “Un Berlusconi americano sarebbe fermato dalla legge, dalle regole, dall’etica politica che gli imporrebbe di mettere le aziende in un blind trust, un fondo cieco. Ed è questo conflitto di interessi, che mi pare lungi dall’essere sanato, che pesa per me nel giudizio storico su Berlusconi”. Poi parla dell’ascesa del populismo e del nazionalismo negli Usa ed in alcuni Paesi UE, e aggiunge: “La vittoria di Prodi, pur risicata, suggerisce una probabile opposizione a quest’ondata di populismo. Forse Berlusconi si è spinto troppo oltre, adottando posizioni e abbracciando una retorica rivelatesi fatali per la sua credibilità tra i centristi. Qualunque ne sia la ragione, la vittoria del centrosinistra offre un’importante occasione per far ripartire l’Italia e l’Europa”.

Matthew Kaminski, editorialista del Wall Street Journal, di Silvio Berlusconi dice: “Nessuno può dare per spacciato il più grande venditore del Paese, ma i suoi problemi in questa campagna elettorale sono il risultato del fallimento di mantenere la promessa fatta dopo la netta vittoria del 2001: un’Italia diversa”, e a proposito di un governo Prodi aggiunge: “Vorremmo un centrosinistra stile Blair, ma temiamo un centrosinistra stile Schroder. Mi sembra che l’Unione avrà troppi interessi speciali da difendere. Diciamolo: gli italiani, come i francesi, hanno paura del cambiamento e del libero mercato”. E di “addio dell’Italia al venditore Berlusconi” parla pure Matthias Nass del Die Zeit, il quale aggiunge: “L’Europa ha bisogno di un’Italia che sia una democrazia moderna, liberale e prospera. Noi, da vicini del vostro Paese, siamo sempre stati fieri dello straordinario patrimonio culturale entrato a far parte della famiglia europea. E, oggi, vogliamo tornare a essere fieri anche della sua cultura politica”.

Anton La Guardia , The Daily Telegraph, scrive che “all’indomani delle elezioni la sensazione è che non si esca dalla paralisi e che l’Italia sia destinata a restare il malato d’Europa”. Il Washington Post, con il commentatore E. J. Dionne, mette in risalto le caratteristiche politiche in comune tra Italia e Usa ed evidenzia la spaccatura simmetrica e la stessa polarizzazione, e dice: “In entrambi i casi, le fratture all’interno del Paese non si potranno risolvere fino al momento in cui le due figure fortemente polarizzanti – cioè gli amici Bush e Berlusconi – non si ritireranno, tutt’e due, dalla scena”. “L’affinità che Bush aveva con Berlusconi – precisa Philip H. Gordon del Centro Studi sui rapporti tra Stati Uniti ed Europa – non è stata solo personale, ma anche filosofica e politica”, e poi accosta il nome di Prodi all’Europa, come fanno molti commentatori in questi giorni, e afferma: “Prodi ha detto chiaramente che in politica estera avrà come priorità l’Europa. Secondo lui deve essere Bruxelles il partner di Washington, non i singoli Paesi membri della Ue. E questa non è certo la posizione americana”.

I giornali britannici vedono in Prodi un europeista convinto e temono un avvicinamento dell’Italia a Francia e Germania per rivitalizzare e valorizzare le istituzioni comunitarie; non a caso Josè Barroso, attuale presidente della Commissione Europea, si dichiara convinto che Prodi saprà dare un adeguato contributo al rafforzamento dell’idea europea, e di Europa parla pure Juan Luis Cebriàn, fondatore di El Pais, il quale mette in risalto le conoscenza dei meccanismi comunitari e dell’economia che ha Prodi e dice: “La sua chance è adesso giocare per voi italiani la carta europea. Dopo la sconfitta della Costituzione Europea, Prodi può invertire la rotta imposta da Berlusconi, Chirac a Aznar che hanno portato alla panne attuale. Con Prodi l’Italia ritorna in Europa, ma il cammino sarà lungo”.

Di “antipolitica” di Berlusconi e del suo allontanarsi da Bruxelles in favore di un atlantismo incondizionato parla Dominique Moisi, vicedirettore dell’Istituto Francese di Relazioni Internazionali, e afferma: “La formazione di un esecutivo Prodi sarebbe una buona notizia per l’Italia ma anche per l’Europa: costituirebbe un ritorno alla normalità dopo la parentesi, un po’ barocca, dello stile di rottura di Berlusconi”. “Io non ce l’ho mai avuta con lui – scrive Tim Parks, docente allo IULM – anzi non ho simpatizzato con chi lo considerava tremendo: ma ora spero davvero che non lo vedremo più a capo del governo italiano, perché in questi ultimi mesi non è stato molto dignitoso. Tutti hanno capito che si accaniva a fare la rissa per difendere le sue vecchie posizioni di rendita”. E a proposito del centrosinistra, lo scrittore aggiunge che la sua campagna è sembrata da dilettanti e che non era difficile battere Berlusconi, magari con un uomo nuovo, capace di prendere posizioni più moderne, incisive.

Pure il tema di un’Italia spaccata in due domina la rassegna stampa estera. Moisés Naìm del Foreign Policy scrive che “ovunque sta diventando molto difficile mettere insieme una maggioranza che permetta di governare in maniera autonoma, come invece era frequente nel passato”, e aggiunge che in questo senso “l’Italia ha confermato la tendenza dei Paesi occidentali spaccati in politica, dagli Stati Uniti alla Germania, tanto per fare i casi più celebri”. “Non siete un’eccezione, siete in pieno della regola diffusa”. E terminiamo con il fondatore di El Pais, il quale osserva: “Non siete certo soli: La Francia è spaccata a metà, come gli Stati Uniti, la Germania e la mia Spagna, il Portogallo. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 la destra, in Europa come negli Usa, fa campagna con il partito della paura, prospettando come un incubo il nuovo, il cambiamento, le riforme. Governare è perciò difficile, ma non credo che la Grande Coalizione che Berlusconi sembra proporre sia la soluzione. Il programma dell’Unione di Prodi e quello di Forza Italia sono diversi, opposti, e non li vedo conciliabili”.

Questo dicono i commentatori stranieri di una campagna elettorale appena conclusa e di un risultato che a noi italiani appare strano e che, invece, viene considerato in maniera diversa dai giornali esteri. Una campagna elettorale che – ricordiamolo – è stata influenzata dalla televisione tanto da far dire al capo della missione di osservazione dell’OSCE che “La copertura delle reti Mediaset è stata sbilanciata a favore del premier”, ed un risultato a sorpresa che lascia spazio a scenari futuri che non sono agevolmente prevedibili.

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